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Senza una gamba e senza esenzione dal ticket per 10 anni. Un giovane di Mortaso "abbandonato" da Inps, Inail, e Sistema Sanitario
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- Categoria: Val Rendena
- Pubblicato Sabato, 12 Gennaio 2013 15:57
- Scritto da Ettore Zini
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C'è chi può mettere in conto allo Stato ostriche e champagne. E chi privo di una gamba, non riesce nemmeno ad avere il ticket per visite e medicinali. Né un lavoro adatto alle sue condizioni. Sembra impossibile. Ma quanto sta vivendo Marco Cozzio, 38 anni, di Mortaso, in Val Rendena, ha dell'incredibile. O meglio, come lui stesso dice vergognoso. E chiama in causa Inps, Inail, e Sistema Sanitario.
La storia ha inizio nove anni or sono. Il giovane, appassionato motociclista, nel 2003 è vittima di un incidente. Nei pressi di Comano Terme va a sbattere contro un'auto. La sua gamba sinistra rimane maciullata. L'arto inferiore gli viene amputato sotto il ginocchio.
Da allora comincia il calvario. Da un letto di ospedale all'altro. Da un ambulatorio all'altro. Visite e medicinali costosi. Tutti pagati di tasca sua. L'esenzione dal ticket (udite!) gli viene riconosciuta solo dopo nove anni e mezzo dall'incidente. E' infatti solo dal 13 novembre 2012 che l'Azienda Sanitaria della Provincia, gli riconosce la possibilità di non pagare visite e medicinali. Per farvi fronte, il giovane ha dovuto fare un mutuo in banca di 45 mila euro. Un impegno oneroso. Che fatica a coprire, con quei soli 699,17 euro, in busta paga, che riesce a guadagnare facendo il falegname all'Essepi di Cavedine. Unica azienda che, dopo l'incidente, gli ha offerto un posto di lavoro. Un'attività a tempo pieno. Pur menomato di una gamba. Che ora, dopo l'ennesima operazione subita in questi giorni a Tione, probabilmente faticherà a riprendere.
"Anche perché – ci confida – dopo otto ore in piedi, su un arto artificiale, arrivi a sera dolorante e stremato". Marco vive da solo, a Castel Madruzzo, vicino a Cavedine. Vi si è trasferito per essere vicino all'azienda dove lavora. E' in affitto ("350 euro al mese da detrarre alla busta paga").
Dopo l'ultimo intervento è ritornato dall'anziana madre, a Mortaso. Vi passerà la convalescenza. Non ha mai chiesto aiuto. Ha sempre cercato di vivere con le sue forze. Senza mai pietire niente. A nessuno. Tantomeno a Sanità e Servizi sociali. Da cui, documenti alla mano – dice - ha avuto solo dinieghi e umiliazioni. "Quando ho chiesto un rimborso – dice – mi hanno riso in faccia". Le scartoffie che agita sul tavolo, del resto, parlano da sole.
L'Inps, gli ha rifiutato la pensione di inabilità. "E' abile e in grado di lavorare", dice la risposta del 13 agosto. "Non risultano infermità tali da determinare alcuna impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa". Vi si legge. Il punteggio raggiunto dai referti è meno di due terzi. Esattamente 67. Un punto in meno del necessario. Quindi idoneo al lavoro.
Il parere della commissione sanitaria per l'accertamento dell'handicap, formulato dall'Apss, il 17 agosto, a firma dei medici Rita Zeni e Alessandro Ghobert , è chiaro. Pur avendo "accertato che la persona esaminata presenta i requisiti di cui all'art. 3 c. 1 della legge 104 (condizione di handicap permanente) esprime parere non favorevole alla concessione dei benefici previsti dall'art. 33, in quanto - è scritto - non sussistono condizioni di handicap tali per concedere i benefici richiesti".
Dopo mesi e mesi di traversie al Santa Chiara, a Villa Igea, al Regina Elena di Castelfranco Emilia, e l'amputazione totale dell'arto al Borgo Roma di Verona, per complicazioni sopraggiunte, e gli andirivieni a Budrio (ospedale dove si cura l'ex pilota di Formula Uno Zanardi) la goccia che ha fatto traboccare il vaso è l'ultimo diniego. L'ennesima incomprensibile barriera architettonica della burocrazia. Che gli nega la fornitura di una protesi. Per cui il Distretto Sanitario Centro Nord, Ufficio prestazione invalidi, gli comunica che "sono spiacenti ma, per ora, non è possibile autorizzare la fornitura in oggetto e di motivare con maggior dovizia di particolari le necessità di sostituzione dell'arto".
E' demoralizzato Marco Cozzio. Deluso da una società da cui, nelle sue condizioni, si sarebbe aspettato aiuto. Non muri. Stremato da un'esperienza che gli ha reso difficile la vita. "Negli ospedali che ho frequentato – dice - ho visto gente che stava meglio di me e che percepiva un minimo di sussidio. A un ragazzo che ho conosciuto il Comune di Bologna gli pagava il canone di affitto e gli passava il buono spesa al supermercato. Davvero non capisco questa disparità di trattamento".