Dialogo sulle rive del Sarca su Comunità, Comuni, storia delle Giudicarie
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- Categoria: Parlando Giudicariese
- Pubblicato Mercoledì, 15 Febbraio 2012 16:58
- Scritto da Mario Antolini Musón e Marco Zulberti
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Al quarto piano d'una casa in via Roma, a Tione, in una mansarda che guarda sopra i tetti, v'è lo studio di Mario Antolini, una stanza dalle pareti a cui sono appoggiate su due lati scaffali di libri; lì il "vecchio" maestro Mario durante l'inverno rimane seduto per ore di fronte al computer tra libri e carte che si trovano accatastate ovunque. Verso i primi di gennaio del nuovo anno, dopo aver salito i 57 gradini della lunga serie di rampe della scala del condominio, una sera arriva Marco, un giovane giudicariese, idealista, che salutando il sorriso dell'anziano maestro che lo accoglie nel suo caldo "nido".
Mentre dalla finestra entrano gli ultimi bagliori del gelido tramonto invernale e si osserva la neve nei boschi sui monti a sud di Tione, sulla vecchia strada che portava nella valle di Ledro. Il maestro prende posto dietro la scrivania. Marco prende dalla valigia un piccolo foglio e una penna e mentre si siede improvvisamente esclama:
èl Bòcia – La sai l'ultima? Hanno fondato la Comunità delle Giudicarie.
él Vècio – Ma cos'è? Non ce n'erano già trentanove? Ne serviva ancora una?
èl Bòcia – Ma, leggendo i contrasti sui giornali, sembra che abbiano cambiato solo il nome al vecchio Comprensorio. Però ammetto che il nome Comunità delle Giudicarie sta più bene che C8, che sembra una mossa di scacchi! Ma quante beghe sta scatenando tra i sindaci e i consiglieri provinciali e i loro presidente, perché alcuni dicono che non esiste.
él Vècio – Ma va là, che la parola Comunità è vecchia di secoli.
él Bòcia – Di secoli? Tu sarai vecchio di secoli. A me suona nuova!
él Vècio – Lo sai che già negli antichi statuti la Comunità era il nome che aveva l'unione di varie "ville", o meglio di contrade e paesi?
él Bòcia – Ma allora i comuni di oggi non sono i veri comuni storici?
él Vècio – I comuni come li vediamo oggi sono relativamente giovani rispetto alle comunità, perché sono stati fondati solo dopo il 1803, quando arrivò Napoleone. Di fatto la riforma napoleonica abolì gli Statuti delle Comunità e le Carte di Regola - pensa che li hanno definiti «illecite combriccole di popolo»! - per fondare l'istituzione comunale e il primo tribunale di giustizia civile. Quando, dopo pochi anni, nel 1815, arrivarono gli austriaci mantennero quel nuovo impianto istituzionale dei comuni, in barba al Congresso di Vienna che avrebbe dovuto attuare la restaurazione con il ritorno al vecchio ordinamento.
èl Bòcia – Sembrerebbe che le polemiche e i contrasti attuali tra i comuni e la nuova Comunità che leggiamo sui giornali e vediamo alla televisione oggi ha comunque un'origine lontana nella riforma napoleonica, che ha frammentato le antiche unioni tra le ville e i paesi delle valli. Di fatto da quello che mi racconti il comune come lo intendiamo oggi l'hanno fatto solo dopo il 1803?
él Vècio – Sì, perché dal 1027 al 1803 noi abbiamo fatto parte del Principato vescovile di Trento. Dopo l'abolizione degli Statuti delle Comunità nel 1803, i Bavaresi (contro i quali poi insorse Andreas Hofer), nel 1806 istituirono i comuni in chiave moderna che poi l'Austria mantenne fino al 1918. Nella "Guida" di Ottone Brentari del 1882 ne troviamo elencati 64: 22 dipendevano dal distretto giudiziale di Condino, 27 dal distretto giudiziale di Tione, 15 da quello di Stenico, sede fino al 1803 del potere politico-amministrativo e ecclesiastico per le Giudicarie. Tutti e tre i distretti erano riuniti sotto il Capitanato di Tione. Oggi i comuni sono scesi a 39 ma è ricomparsa la Comunità delle Giudicarie. È un poco un ritorno al passato ma con un obiettivo nel futuro che riconduca all'unità le forze delle ville e dei paesi.
èl Bòcia – Ma quante erano le antiche Comunità
él Vècio – Rispetto ai 39 comuni di oggi a occhio non erano poco più di una decina, ma aspetta un attimo. - L'anziano maestro si alza dalla poltrona dietro la scrivania prende una lunga scala e sale verso gli scafali da cui prende un libro alla volta appoggiandoli sulla scrivania. I titoli parlano degli statuti di Tione, di quelli di Javrè, di quelli di Stenico e delle sette ville del Banale. Con un sorriso divertito come si trattasse di un gioco ricomincia a parlare. - Per me è difficile dirlo; solo con l'aiuto degli storici possiamo riuscire ad avere una conoscenza adeguata del periodo più importante delle nostre Vallate. Posso solo dirti che al centro delle Giudicarie v'era la Comunità di Thione et Breune (Tione) i cui Statuti vengono scritti nel 1579 ed aggiornati nel 1779; a oriente v'erano la Comunità di Stenico e quella delle Sette Ville del Banale di cui abbiamo la fortuna di avere gli Statuti stampati.
èl Bòcia – E a sud nella Valle del Chiese?
él Vècio – Per quel che ne so io ve ne erano senz'altro due: una sopra il torrente Reveglèr a cui apparteneva Roncone, e una sotto il Reveglèr che faceva capo a Bono.
èl Bòcia – Solo due al posto degli attuali comuni di Roncone, Lardaro, Praso, Daone, Bersone, Pieve di Bono e Prezzo?
él Vècio – Sembrerebbe così, ma non ne so di più. Poi ve ne dovrebbero stare due anche nella piana del fiume Chiese: quella di Condino e quella di Storo. Ma io non sono ancora riuscito a recuperarne gli Statuti, né ho documenti alla mano per sapere qualcosa di più a fondo sulle ville, contrade e paesi di quella zona, né quale ampiezza comprendevano le eventuali Comunità.
èl Bòcia – E in Val Rendena?
él Vècio – (Si alza e prende ancora due libri). Ma di sicuro: abbiamo per esempio gli Statuti della Comunità di Pelugo del 1757 e di quelli di Javré del 1766.
èl Bòcia – Ma allora nei secoli passati le ville e i paesi, le malghe, i campi, le officine, le falegnamerie, le fonderie, i commerci, si erano sviluppate così come li abbiamo visti fino agli anni settanta, senza alcun controllo comunale, senza politici. Questo vuol dire che v'erano meno sprechi di oggi?
él Vècio – Le Comunità non erano veri e propri comuni in senso moderno, ma delle aggregazioni di vari villaggi insieme, con propri amministratori eletti direttamente dalla gente "in pubblica regola". Ma erano più democratici di oggi. Non esisteva il sindaco quale governatore assoluto della Comunità. Per esempio, secondo lo Statuto di Tione, i capifamiglia, o meglio i capifuoco, si riunivano una volta all'anno ed eleggevano otto uomini, tra cui poi si sceglievano quattro Consoli che amministravano internamente la "Comunità", e un sindaco che invece era addetto alle relazioni esterne. Questi uomini poi sceglievano nella comunità un "saltaro" che aveva un poco l'attuale funzione di guradiabosci.
èl Bòcia – Ma le Comunità appartenevano ancora al Principato Vescovile di Trento. Vuol dire che rispettavano ancora gli ordini del Principe Vescovo?
èl Vecio – Certo, questo è un passaggio importante. Gli Statuti delle Comunità, al cui interno sono descritte le "Regole" che ogni paesano deve osservare, comprese automaticamente le pene da infliggere, sono sempre stati autorizzati dal Principe Vescovo, però godevano di piena autonomia. Nel secoli in cui prendono forma le antiche Comunità (XIII-XVIII sec.), dal 1300 alla fine del 1700, la giustizia continua ad essere governata dalla Chiesa. Per le Giudicarie, per esempio, il potere temporale e quello spirituale erano ancora saldamente in mano del Vescovo, che esercitava la giustizia, sia penale che civile, al Castello di Sténico; istituisce poi il proprio Vicario per il civile prima a Preore nel 1407 spostato quindi a Tione nel 1523. Ma nel caso degli statuti le pene erano automaticamente applicate alla violazione della regola da ogni singola Comunità salvo l'approvazione del vicario di Sténico.