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Giuseppe Ceschini fotografo di Stenico e il suo rifugio in Algone. Frammenti di storia di Ennio Lappi

Giuseppe Ceschini con la moglie Gelsomina e una inserviente - Archivio Lappi

Quando, nel 1874, Douglas Freshfield salendo da Pinzolo giunse al Passo del Gotro e la Valle d'Algone gli si offerse splendida ai suoi piedi, annotò estasiato sul suo taccuino: "A more beautiful site is hardly to be found", "Un luogo più bello di questo è molto difficile da trovare". In quel momento desiderò di potervi costruire una casetta per godere a lungo di quell'inimitabile ambiente che ancor oggi possiamo ammirare pressoché intatto.

Anticamente, come le altre valli delle nostre montagne, la Val d'Algone era scarsamente antropizzata e le poche persone che vi si recavano lo facevano esclusivamente nella buona stagione. Vi si ponevano varie malghe: Stabli, Nambi, Stablèi, Movlina, si falciavano i prati e si sfruttavano le ingenti risorse boschive per produrre carbone. Alla fine del '700 vi sorse il primo insediamento industriale delle Giudicarie, una fabbrica di lastre di vetro che per anni fu l'unica del suo genere in tutto il Tirolo, rimpiazzata, qualche decennio dopo, da un'altra ben più grande che arrivò ad impiegare circa 200 persone. In questo periodo, anche la caccia divenne importante, anche se era praticata solamente da pochi individui di Stenico e Ragoli. La selvaggina che vi abbondava costituì una buona fonte di sostentamento e di guadagno per i cacciatori che catturavano caprioli, lepri, tetraonidi, ma soprattutto camosci, dai quali traevano carne e pelli. Anche l'orso, presente con numerosi esemplari, era sistematicamente insidiato ed ucciso, tanto per la pelliccia come per la cospicua taglia offerta dall'I.R. Governo.

Agli inizi del secolo scorso, in Algone apparve l'ispettore forestale Orazio Ghedina il quale vi si insediò con la famiglia, dopo aver acquistato i terreni e gli edifici di pertinenza della vetreria da qualche tempo abbandonata. Per alcuni anni, i Ghedina furono le uniche persone residenti stabilmente in loco e la loro abitazione fu un prezioso riferimento per coloro che dovevano recarsi nella valle per lavoro, per i cacciatori o per i rari passeggeri che vi transitavano diretti a Pinzolo o Campiglio. Cesare Battisti, visitata la valle nel 1908, annoterà nella sua Guida delle Giudicarie che al viandante veniva offerta volentieri ospitalità, con almeno un po' di fuoco ed un bicchier di vino, secondo il costume e le magre possibilità del tempo.

Alcuni anni dopo, e precisamente l'11 maggio 1911, Giuseppe Ceschini di Stenico presentava alle autorità competenti la richiesta per ottenere la licenza commerciale per aprire in Algone una trattoria con alloggio. Il Rifugio Ceschini fu costruito poco più a monte della proprietà del Ghedina, circa un centinaio di metri al di là del vivaio forestale impiantato dallo stesso forestale per rimediare al feroce disboscamento effettuato in loco per vari motivi, primo fra tutti, il reperimento del combustibile per far funzionare il forno della vetreria. Era un piccolo edificio costruito in legno rivestito di cartone asfaltato, lindo e grazioso nella sua semplicità che, nelle sei stanze disposte su due piani ed in un funzionale dormitorio, poteva dare ospitalità ad una trentina di persone. La sua struttura diede adito ad alcune difficoltà burocratiche, dovute alle norme antincendio per la sistemazione della stufa della cucina e del relativo camino, ma l'anno successivo la locanda era aperta e funzionante.

Giuseppe Ceschini, detto Ciapèra, era un personaggio eclettico e non più giovanissimo. Era nato a Stenico nel 1868 e, appena in grado di badare a se stesso, si era unito al grande flusso migratorio verso il Sudamerica dove risiedette diversi anni e dove, anzi, fu tra i fondatori della Società di Fratellanza Italiana.
Lavoro e sacrifici, uniti ad intelligenza e coraggio, gli permisero di mettere insieme quanto bastava per tornare in patria e metter su famiglia. Infatti, nel 1909 si unì in matrimonio con Gelsomina Diprè, una giovane compaesana, ed iniziò a praticare a Stenico l'arte che aveva imparato nel lungo periodo d'emigrazione, vale a dire il fotografo.

Ma il suo carattere forte e deciso ed il suo spirito d'iniziativa lo spinsero a rischiare i risparmi in un'ardita impresa, quella di aprire un esercizio di locanda ed osteria nella Valle d'Algone, dove non esisteva un adeguato posto di ristoro ed alloggio per coloro che lavoravano in loco, per i cacciatori, per i viandanti e, soprattutto, per gli avventurosi alpinisti che si spingevano sulle ancor inviolate vette del Brenta. L'accogliente locanda-rifugio Ceschini, aperta da maggio ad ottobre, ottenne subito un lusinghiero giudizio fra i suoi frequentatori che apprezzavano l'ottima cucina della signora Gelsomina, la scrupolosa pulizia e la cordiale ospitalità, tanto che, in un servizio apparso sul prestigioso Bollettino SAT del gennaio 1913, Patrizio Bosetti ebbe a scrivere: "Salendo al Rifugio dei 12 Apostoli, voltandosi, il primo sguardo sarà per quel nido bianco laggiù in fondo ed il pensiero correrà, malgrado l'incanto dell'alta montagna, alle linde stanze ed ai cibi graziosamente e pulitamente serviti dalla signora Ceschini".

Nel 1915, allo scoppio della guerra, Giuseppe fu richiamato in servizio e, per la sua età matura, fu assegnato al servizio di assistenza della locale Gendarmeria Austriaca di stanza nel castello di Stenico, servizio che prestò fino al raggiungimento del limite di età, segnalandosi per le grandi doti di umanità, di altruismo e di attaccamento alla sua terra. Dal giornale "Il Brennero" del 1 settembre 1928 apprendiamo di un episodio significativo che lo ebbe per protagonista e che gli portò la stima e la gratitudine di tutto il paese, infatti, inviato alla ricerca di alcuni disertori segnalati in zona ed in particolare di un tale Enrico Busatti detto Slancio, riuscì ad avvertirli in tempo del pericolo, anzi, in casa del Busatti, dopo aver scoperto quest'ultimo nascosto sotto il letto, finse di sbaionettare dappertutto in modo da convincere superiori e colleghi che stavano vicino, che lì non c'era nessuno. Lo Slancio e gli altri due furono salvi, ma corsero un grande pericolo perché, se individuati e presi, avrebbero sicuramente pagato con la morte e non solo loro, dal momento che la dura legge austriaca prevedeva la pena di morte anche per i padri dei disertori e per coloro, come il Ceschini, che li avessero aiutati e si fossero resi così loro complici.

Compiuti i cinquant'anni nel maggio del 1918, il Ciapèra fu congedato per raggiunti limiti d'età, ma il suo patriottismo si manifestò ancora nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1918 quando l'avanzata delle truppe italiane causò la fuga degli austriaci. Prima di lasciare Stenico, i gendarmi del castello dettero alle fiamme il ponte di legno che, alla periferia ovest del paese, attraversava la Valle del Cugol nei pressi delle sorgenti del Rio Bianco, ma, incalzati dalle preoccupanti notizie sulle posizioni raggiunte dalle nostre truppe, non poterono trattenersi a lungo sul posto per sincerarsi della distruzione del manufatto. Assistendo alla scena dal bosco soprastante, Ceschini non perse tempo e, aiutato da un esiguo gruppo di volonterosi compaesani, mentre i più se ne stavano pavidamente tappati in casa per paura di rappresaglie, si prestò coraggiosamente ad estinguere le fiamme permettendo di salvare la struttura sulla quale, il giorno seguente, poterono transitare le vittoriose artiglierie italiane.
Terminato il conflitto, il fotografo-albergatore tornò alle sue occupazioni. La locanda della Val d'Algone fu così riaperta e tornò ad essere il punto di riferimento per quanti si trovavano in valle, finché un incendio non la distrusse verso la fine degli anni '20. Oggi del bel rifugio-albergo Ceschini non rimane nulla anche se, ad un attento esame, se ne può individuare il sedime poco sotto l'attuale cappella, ma è sicuro che il fascino che, al tempo, soggiogò gli ospiti di quella pionieristica struttura si può facilmente rivivere anche oggi solo sapendo scegliere il momento giusto e l'adatto punto di osservazione.

rifugio ceschini in Algone. In primo piano lorto botanico di Orazio Ghedina - foto Archivio Lappi