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14 ottobre 1954. Serodoli e Campiglio, un fatto che pochi ricordano. Ricordi preziosi di Ennio Lappi

Nambino
Ormai sono trascorsi sessantadue anni dal giorno in cui l'acqua del Lago Serodoli precipitò a valle causando gravissimi danni soprattutto al cento turistico di Madonna di Campiglio che, solo per fortunate circostanze, non ebbe a subire perdite umane.
Si era nel pieno dei lavori idroelettrici condotti dalla SISM, Società Idroelettrica Sarca Molveno, la quale, dopo aver concluso la parte intermedia del progetto con la realizzazione della grande centrale di S. Massenza, si era dedicata alla parte in quota che prevedeva, nel settore della Presanella, la costruzione di ben sei centrali idroelettriche nel bacino imbrifero della Sarca sopra l'isoipsa 900; alla guida di questo nuovo grande programma vi erano gli ingegneri Bruno Bonfioli e Dante Ongari, mentre il responsabile di zona era l'ing. Luigi Zaretti. Si intendevano costruire:
l'impianto di Lago Scuro, con derivazione del lago stesso dopo la sua trasformazione a serbatoio;
l'impianto di Bedole, con derivazione delle acque di scarico dell'impianto di Lago Scuro e di quelle provenienti dal Mandrone e dalla Vedretta delle Lobbie;
l'impianto di Genova, da realizzarsi alla Scala di Bò, con derivazione delle acque di scarico degli impianti di Lago Scuro e di Bedole, delle acque della Sarca di Genova, dei rivi Stablel, Forgorida, Lares, Siniciaga, Germenega e minori, da accumularsi nei laghetti di S. Giuliano e Garzonè trasformati in serbatoio;
l'impianto di Cornisello, con derivazione dal Lago Vedretta sistemato a serbatoio;
l'impianto di Nambrone, con derivazione dai laghi di Cornisello e dai ghiacciai di Nardis, con l'apporto delle acque dei laghi Gelato, Serodoli, Nero e Ritorto, regolati a serbatoio;
l'impianto di Carisolo, con derivazione delle acque di scarico del sovrastante impianto di Nambrone, di quelle del Sarca di Campiglio e dei rivi Vallesinella e Valagola, nonché dei tributi residui del Sarca di Nambrone.

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La grande area montuosa tra la Val di Genova ed il Passo del Tonale vide quindi all'opera decine e decine di tecnici i quali, con le loro squadre operative, resero possibile la stesura dei necessari elaborati progettuali. Quasi contemporaneamente si dette mano anche allo scavo dei cunicoli di sondaggio che dovevano aprire la strada alle gallerie di spillamento dei vari bacini presenti in zona e a quella, ben più lunga, che doveva raccogliere le acque del versante nord della Presanella, fino a captare anche quelle della Vermigliana in Val di Sole. In uno di questi cantieri, la mattina di giovedì 14 ottobre 1954 avvenne un fatto che solo per puro caso non provocò vittime, ma solo gravi danni all'ecosistema della vallata sottostante e all'importante stazione turistica di Madonna di Campiglio.
Appena terminata la costruzione del nuovo Ponte del Doss da Servi nel Banale, l'Impresa Alessandro e Fabio Conci di Trento aveva assunto dalla SISM l'incarico di realizzare la galleria di spillamento delle acque del lago Serodoli che dovevano alimentare le turbine della progettata centrale di Nambrone. Da alcune settimane a quota 2350, una ventina di metri sotto il livello del lago, era iniziato lo scavo di un piccolo tunnel di sondaggio che aveva lo scopo di verificare le condizioni di tipo geologico, idrogeologico e geotecnico della roccia granitica che all'apparenza non presentava alcun problema e nelle prime ore di giovedì sul fronte di avanzamento, a circa 120 metri dall'imbocco, era stata fatta esplodere una volata di mine. A capo della squadra di minatori c'era il giovane geom. Ciro Buratti di Mattarello che, come di consueto, quella mattina era alla sua scrivania nel piccolo ufficio del cantiere; all'improvviso un operaio entrò trafelato nella stanzetta: " Sior geometra, el pissa, el pissa...". Buratti intuì immediatamente quello che stava succedendo e corse nella piccola galleria dove si trovavano ancora alcuni operai. Effettivamente una modesta venuta d'acqua scendeva dalla volta rocciosa; non era certo un buon segno ed il tecnico ordinò subito l'evacuazione correndo al telefono per avvertire la direzione lavori. Un'ora dopo, salendo con la teleferica di servizio, l'ing. Alessandro Conci e il direttore del cantiere ing. Givani erano sul posto e una rapida ispezione fu sufficiente per rivelare la gravità della situazione dato che la portata della piccola fontanella iniziale era già notevolmente aumentata. Venne dato immediatamente l'allarme in paese e così, Carabinieri e pompieri coadiuvati da tutti gli operai e maestranze della SISM che erano a valle, riuscirono a mettere sul chi va là la popolazione e i pochi forestieri che si trovavano in paese. Fortunatamente il diaframma che separava il tunnel dal fondo del lago collassò poco per volta nel corso della notte e per questo, assieme alla ridotta sezione del tunnel che limitò la portata dell'ondata susseguente, fu evitata la perdita di vite umane perché, se il cedimento fosse stato immediato e senza preavviso e la galleria fosse stata quella definitiva, certamente ci sarebbero state molte vittime.
Alle 8.50 di venerdì, nella volta del fronte della galleria si aprì uno squarcio di circa un metro quadrato e l'acqua del bacino, più di mezzo milione di metri cubi, iniziò a riversarsi a valle, dapprima nel Lago Nero e quindi nella Busa dai Spin per piombare nel Lago di Nambino. Il bel rifugio gestito dalla famiglia Serafini poco prima delle nove fu investito in pieno dalla massa d'acqua, fango, macigni ed alberi cogliendo alla sprovvista chi vi si trovava; Giovanni Serafini, la sorella Maria, i figli Liliana e Lorenzo e il portatore Vittorio Angeli, fortunatamente capirono con un certo anticipo che qualche cosa di grave stava succedendo dal boato, molto simile a quello delle valanghe, che proveniva dalla "Busa dai Spin" e fecero appena in tempo a scappare lontano sulla riva a monte del lago. Il fabbricato che ospitava il gruppo elettrogeno venne subito travolto così come alcuni fabbricati di legno che vi erano attigui e il lago di Nambino fu inondato dalla fiumana che, proseguendo verso valle rischiava di erodere la flebile striscia di terra che costituiva la sponda orientale facendo precipitare anche tutto l'invaso verso Campiglio. Verso le dieci e mezzo l'onda di piena raggiunse i Bertelli con una portata di 25 metri cubi al secondo danneggiando seriamente alcuni chalet ed investendo, più in basso, le abitazioni di Adele Ferrazza, Pia Alimonta, Romano Caola e Pietro Pirlo. Dopo aver inondato ed eroso diversi prati ed abbattuto la linea elettrica a 5 KV, l'acqua investì l'albergo Madonna di Ottavio Sommadossi, invadendone le cantine e causando il crollo di una terrazza, tanto che l'intera struttura risultò gravemente lesionata. Stessa sorte capitò all'albergo Campiglio di Mario Ferrari dove venne allagata e distrutta la centrale termica con fuoriuscita del gasolio contenuto nella relativa cisterna che rese inutilizzabile una considerevole quantità di riserve alimentari. La piazza del paese fu così allagata mettendo in serio pericolo le case di Vigilio Maturi e dei fratelli Serafini che furono in parte protette dal tempestivo intervento dei pompieri che a tempo di record realizzarono un arginatura di contenimento con sacchi di sabbia ed assi. Solo per un caso fortuito la diga del laghetto di Campiglio resistette alla furia di quella massa d'acqua che scendeva dal monte, salvando così l'albergo Bonapace da sicura distruzione. L'intervento dei soccorsi venne coordinato fin dal mattino dall'ing. Zaretti coadiuvato dal suo vice ing. Sem Bonetti e dal geometra Bertolini i quali, assieme ai tecnici dell'impresa Conci, predisposero un centinaio di operai a rinforzo dei vari gruppi di vigili del fuoco saliti dai centri vicini e da Trento. Campiglio era senza acqua potabile e senza energia elettrica ed in un primo tempo anche le comunicazioni telefoniche erano saltate, ma in breve si allestì un ponte radio e un centralino di fortuna presso il bar "Capanna".

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I senzatetto furono alloggiati al Miramonti; fortunatamente non erano molti: Romano Caola con i figli Ugo, Lidia, Irma, Romano e Ines, l'operaio Pietro Pirlo, la famiglia Rigoni, quella della portalettere di Campiglio Adele Ferrazza, i quattro componenti della famiglia di Livio Cereghini e l'anziano Andrea Bonapace al quale proprio mercoledì era mancata la moglie Caterina; il poveretto si trovava in casa a vegliare la consorte quando, disgrazia nella disgrazia, l'acqua invase l'appartamento costringendolo a trascinare la bara all'esterno in un punto sicuro.

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Fra i primi a salire a Campiglio furono il sindaco di Pinzolo Romedio Binelli, quello di Spiazzo Terzi, il rag. Alfiero Andreolli, presidente dell'Azienda autonoma di Campiglio, con il direttore della stessa dott. Maffei. Poi giunsero l'assessore provinciale ai lavori pubblici ing. Zanoni con l'ing. Armani, l'assessore regionale dott. Turrini e vari tecnici ed esperti come gli ingegneri Bresadola, Sizzo e Cattani della Sit.Verso sera, con lo svuotarsi del lago Serodoli, la portata della fiumana andò diminuendo fino a cessare del tutto; il rischio corso dalla regina del Brenta fu davvero grande, tuttavia i danni inizialmente paventati come enormi, alla luce del giorno seguente si rivelarono, almeno per quanto riguarda gli edifici e le infrastrutture notevolmente ridimensionati con grande sollievo di tutti. Rimasero comunque molto sensibili quelli riportati dall'ambiente, gravemente offeso tanto nei boschi e prati quanto nel delicato ecosistema della zona, per non parlare del bellissimo laghetto di Nambino, completamente stravolto dal fango, le condizioni preesistenti del quale saranno ripristinate solo dopo molti anni.
L'eco di quel fatto fu veramente eclatante tanto che, in definitiva, portò alla chiusura dei cantieri ed avviò il processo che portò, dapprima al ridimensionamento dell'intero progetto e quindi alla suo definitivo abbandono avvenuto nel 1968; artefice principale di questo fu il maestro Romedio Binelli, scomparso in veneranda età tre anni orsono, che ottenne il prezioso risultato con una decisa e competente azione portata ad ogni livello coinvolgendo popolazione, comuni, organi provinciali e, ancora più in alto, arrivando fino ai massimi livelli ministeriali.