La strada sotto il lago. La storia della Scaletta a cura di Ennio Lappi
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- Category: I documenti
- Published on Monday, 13 June 2016 14:07
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A molti giudicariesi sembra ieri, ma è già trascorso quasi mezzo secolo da quando, ultimati i lavori ed effettuati i necessari collaudi, il 14 luglio 1956 il traffico veicolare da e per Tione fu fatto confluire sulla nuova variante, per gran parte in galleria, che superava la pericolosa forra della Scaletta permettendo un più sicuro ed agevole accesso alla Busa di Tione. Poco tempo dopo, furono completati anche i lavori della diga a semicupola alta 65 metri che ancor oggi sbarra il corso del Sarca poche centinaia di metri a monte di Ponte Pià e allora le acque dell'invaso sommersero definitivamente il vecchio, pericoloso e contestatissimo Stradone della Scaletta.
Era questa un'importante arteria realizzata, con il concorso di tutte le comunità dei vari distretti interessati, come naturale prosecuzione dell'ardita carrozzabile, aperta nel 1849 tra Sarche e il Bagno di Comano, denominata Strada Stefanea in onore dell'arciduca Stefano d'Asburgo Lorena. Fieramente censurato dai paesi del Banale che si vedevano tagliati fuori dalle possibilità di guadagno garantite dal notevole traffico di passaggio e, soprattutto, da Stenico che così non era più al centro delle Giudicarie, il progetto fu realizzato anche grazie al notevole impulso dato dal comune di Tione che anticipò l'intera spesa prevista per l'ammontare di 100.000 fiorini, rinunciando per di più agli interessi.
Dalle Terme di Comano, partendo dalla località Ischia, l'impresa di Giovanni Maria Pialorsi realizzò il facile tracciato fino al ponte delle Tre Arche gettandone uno nuovo sulla Duina, poi, fu la più titolata impresa di Giacomo Canepele a prendersi carico della prosecuzione dei lavori.
Pressoché in piano, si raggiunse l'antico Ponte Pià, già esistente nel 1445, che permetteva ai bleggiani di valicare il profondo orrido per passare in sponda sinistra e raggiungere, in breve tempo, tanto il borgo di Stenico che la soprastante Strada delle Sasse, e qui, a fianco del ponte vecchio, nel punto più stretto di tutto il medio corso del Sarca, in posizione superiore e leggermente divaricata verso monte, fu realizzato un solido manufatto granitico ad arco unico della lunghezza di soli 7 metri che permetteva allo stradone di proseguire in sponda sinistra del Sarca, inciso nella roccia strapiombante dai verdi prati del Rudell di Stenico. Il tracciato fu quindi fatto avanzare in piano per alcune centinaia di metri, proteggendolo dalle soprastanti infiltrazioni idriche con opportuni ripari in muratura e legno, quindi fu fatto scendere di quota e, con un ampio semicerchio, si aggirò uno strapiombante costone roccioso. Poche centinaia di metri più in là il progetto prevedeva di tornare in sponda destra e così si gettò un altro ponte di pietra che fu denominato Ponte del Burrone. Sul versante bleggiano, si avanzò ancora per un centinaio di metri, parte con scavo in roccia viva e parte su solido terreno supportato da notevoli opere di sostegno, quindi si traforò uno spuntone roccioso detto il Doss, con una galleria di 51 metri e, con un altro tratto, sostenuto da grossi muraglioni di granito, lo stradone fu finalmente nei verdi prati di S. Giovanni.
Il nuovo tronco stradale fu aperto al transito l'11 settembre 1852 ed aveva una lunghezza complessiva, da Ponte Arche a Tione, di 13.468 metri, con larghezza media di 6 metri, ridotta a metri 5,15 negli oltre 3 chilometri complessivi di percorso scavato in roccia. Tutto fu realizzato grande maestria soprattutto le opere di sostegno, il Ponte Pià, le due gallerie artificiali e il pregevole Ponte del Burrone che era a cinque luci ad arco semicircolare ed era ancorato alle sponde con notevoli rinforzi murari.
Per l'inaugurazione, celebrata con gran pompa, scesero al Bagno di Comano moltissime autorità con in testa il Consigliere ministeriale conte Lotario di Terlago accompagnato dal barone Turco de Trent Turcati e dai podestà di Trento, Riva ed Arco. Si formò un corteo di 37 carrozze che, dopo il rituale taglio del nastro, si avviò lungo la strada parata a festa con bandiere e scritte d'augurio secondo il costume dell'epoca. Al Ponte Pià era stato allestito un arco trionfale di fronde e bandiere sul quale campeggiava un grande striscione con il motto "Viribus unitis". Lì, con i loro attrezzi in mano, erano schierati i duecento lavoratori che avevano realizzato le opere stradali e, mentre il capitano distrettuale Haas, coadiuvato dalle deputazioni delle Giudicarie Interiori, accoglieva gli ospiti invitandoli a proseguire a piedi, veniva eseguito il tradizionale "sbaro" con scoppi di potenti mine fatte brillare sopra le rocce e salve di mortaio dal fondo della gola. Il corteo proseguì a piedi fino alla galleria del Doss, denominata Tunnel, sulla quale campeggiava la scritta "L'uomo volle" ed anche a quel punto tuonarono le batterie che ebbero imponente effetto tra le alte pareti rocciose della valle. In breve, si raggiunse quindi la piana di S. Giovanni dove era allestito un grande tendone ornato di fronde, fiori, bandiere, le effigi dei sovrani imperiali e la scritta "Concordia", sotto il quale attendevano le autorità del distretto di Tione e Condino che ricevettero il corteo tra scoppi di mortaretti intervallati dagli inni della banda musicale. Alla sfarzosa inaugurazione seguì un elegante ricevimento allo stabilimento del bagno di Comano al quale parteciparono 130 ospiti che pranzarono tra discorsi, brindisi ed evviva accompagnati, ancora una volta, dalle salve di 150 bocche di mortaio.
Come la Stefanea, il tratto della Scaletta era, per l'epoca, un'opera ragguardevole sia per la progettazione che per la realizzazione e non mancava di destare l'ammirazione di quanti si trovavano a transitarvi, non per nulla il suo costruttore l'impresario Giacomo Canepele, venuto da Lavarone a lavorare sulla strada del Limarò, oltre alla Stefanea, dove si era guadagnato ottime referenze, aveva già realizzato altre rilevanti opere come il tratto di strada del ponte Ballandino, che allacciava Villa Banale alla viabilità principale, e la strada della Val d'Algone, realizzata in modo magistrale per ridurre al minimo i sobbalzi dei carriaggi che trasportavano le lastre e le bottiglie di vetro prodotte nella vetreria Fasoli e Garuti.
Non è ben chiaro il significato del toponimo Scaletta né di quello dello sperone superiore, estrema propaggine della dorsale del Castello dei Camosci, denominato Doss de la Scala al quale è evidentemente legato. Appare, tuttavia, plausibile che in loco fosse presente un tratto attrezzato per rendere più agevole e sicuro il passaggio, oppure che con quei termini si volesse semplicemente esprimere il concetto di ripidezza del tratturo ivi esistente il quale, partendo dal greto del Sarca, permetteva un rapido, seppur faticoso, collegamento con la strada per la Val d'Algone.
La vita di questo tratto di strada fu peraltro travagliata fin dall'inizio, numerose frane lo martoriarono e, in inverno, slavine e valanghe erano sempre in agguato, al pari delle pericolose cadute di stalattiti di ghiaccio che si formavano sulle volte dei tratti scavati nella roccia. Come testimoniato dalle numerose lapidi murate sui parapetti, molte persone vi persero la vita per incidenti legati al fattore ambientale e così le proteste non tardarono a farsi sentire.
Nondimeno le continue spese di manutenzione ordinaria gravavano in maniera esorbitante sulle magre economie dei paesi del distretto di Stenico senza produrre per loro alcun vantaggio. A queste si aggiunsero quelle straordinarie dovute alle forti piene avvenute nell'ottobre 1868, dove i danni si stimarono in 8000 fiorini, e nel settembre 1882, dove le riparazioni furono ben più gravose. Già nel 1879 il Comune di Stenico facendosi portavoce anche degli altri del suo distretto, definendo la strada concorrenziale della Scaletta come la rovina dei comuni del distretto di Stenico, il pericolo dei pericoli, la spada di Damocle di tutti i viandanti, aveva inoltrato al Capitanato Distrettuale di Tione una formale richiesta affinché la si abbandonasse definitivamente affermando che la stessa era di solo vantaggio del paese di Tione, mentre non toccava uno solo dei 39 paesi del distretto di Stenico.
Ma il malcontento e le conseguenti pressioni delle popolazioni del Banale e del Bleggio non riuscirono a superare le opposizioni degli altri distretti e così si continuò a transitare nella pericolosa forra della Scaletta, nonostante i numerosi appelli effettuati con ogni mezzo, anche con l'appoggio della stampa; riferiamo tra i tanti due passi di articoli pubblicati dalla Voce Cattolica in occasione delle due inondazioni citate: 7 ottobre 1868, "... questa malaugurata strada, vera sanguisuga che succhiò ai comuni pressoché tutto il loro patrimonio e che continua tuttavia a tenerli per bene gravati di debiti, è ora da capo impraticabile..." e ancora, il 20 settembre 1882, "... i nostri consoli pensino, decidano e vengano all'opera al più presto che si può, altrimenti ci è giuoco forza gridare all'America, unica speme d'un popolo disperato..."
Oggi, dello stradone della Scaletta rimane ben poco perché, come detto, gran parte di quest'ardita opera è sommersa dalle acque del bacino idroelettrico e, se si ha la fortuna di poter visitare la diga il cui accesso è limitato da cancelli, se ne può vedere solo la prima parte. Quando si è in vista dello sbarramento, si può notare il vecchio tracciato che, a sinistra, scende ad incontrare proprio il grigio calcestruzzo della diga e lì scompare inghiottito dal progresso. Se, poi, ci è consentito di passare oltre, dopo la stazione di manovra della diga, ci si può incamminare sul tracciato pedonale di emergenza realizzato, pochi metri sopra il livello massimo dell'invaso, allo scopo di consentire l'esbosco delle macchie cedue soprastanti e che lo costeggia fino al ponte sul torrente Algone dove arriva la strada comunale di Pez di Ragoli. E' un percorso che ora si presenta abbastanza pericoloso per la mancanza di protezione verso il lago, ma che si vorrebbe utilizzare per allestire una pista ciclabile. L'idea sarebbe lodevole se non si considerasse che il passaggio in un simile ambiente può creare in molti soggetti, e non solo in quelli predisposti, un notevole disagio dal momento che le alte pareti incombenti e la scura superficie del bacino comunicano un sordo senso di oppressione che induce ad accelerare il passo per portarsi sollecitamente in un ambiente maggiormente aperto e sereno. Tuttavia il luogo merita una visita, magari partendo dal versante di Pez, perché consente scorci inusuali in un ambiente solitario anche se disturbato dal rumore dei veicoli che passano nelle gallerie della statale i cui finestroni ci stanno proprio di fronte e, se si ha la fortuna di trovare un periodo di acque limpide, si può scorgere in corrispondenza del Doss, tanto la galleria, un tempo considerata la porta delle Giudicarie Interiori, quanto il bellissimo ponte sommerso.