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Quell'illuso del Musón, il blog di Mario Antolini

Giudicarie 2017: un'accogliente oasi al sicuro, o terra abbandonata a se stessa ed in pericolo? Dal blog di Quell'Illuso del Musón

Giudicarie 2017

Quando si diventa vecchi e ci si trova da soli in una mansarda al terzo piano, sopra i tetti di Brévine e con le cime attorno che sembrano tenerti chiuso nel fondovalle, si passa tanto di quel tempo a rimuginare il proprio passato e ad arzigogolare pure attorno al presente ed all'avvenire, oppressi come si è dalle notizie che mi giungono, quotidianamente, da ogni parte del mondo, e che mi assalgono e mi opprimono attraverso la carta stampata quotidiana e la televisione.

In queste uggiose giornate dei primi giorni del maggio 2017, riflettendo sulla storia e sul presente delle Giudicarie, mi stanno frullando per il capo strane considerazioni. I Giudicariesi sanno rendersi conto di trovarsi in un paradiso terrestre, in un'oasi benefica ed ospitale con tanto verde e tanta acqua, o vivono nell'indifferenza senza essere consci del bene di cui stanno usufruendo grazie al secolare lavoro degli Avi fermi sul posto - nelle valli e sui monti, fra stalle e malghe, fra campi e prati, fra boschi e selve - o dolorosamente costretti all'emigrazione?

Penso che sia opportuno e benefico il sapersi guardare attorno ed "a pensàrghe su". Mediante i massmedia ed i web si constata che quasi tutto il mondo è in subbuglio, mentre in Giudicarie si vive tranquilli, quasi tagliati fuori da tutto e da tutti, in una tranquillità quasi impensabile. Per secoli e secoli i Giudicariesi sono vissuti in pace e in serenità (pure con le sempre possibili divergenze sia in superficie che in profondità), ma mai intaccati da disastrose guerre e da evidenti disordini sociali coinvolgenti intere popolazioni. Gli eserciti, qualche volta, sono solo passati da qui, ed anche lo stesso fronte Lardaro-Adamello della prima guerra mondiale non ha dato luogo a sanguinose battaglie, come invece avvenuto altrove.

I Giudicariesi hanno sempre goduto e godono di paesaggi incantevoli, di villaggi pennellati da mani provvidenziali, di una convivenza mai frastornata da lotte e disordini interni, di una economia povera, ma che non ha mai lasciato nessuno senza un tetto ed una fetta di polenta. La laboriosità - sia in casa sia nell'emigrazione - è stata ed è il distintivo più caratteristico di tutta la popolazione, da Campo Carlo Magno al Càffaro, da Passo di Ballino al Banale, dalla Busa al Limarò. Credo che si possa dire che quella dei giudicariesi non sia una popolazione ricca di soldi in banca, ma che invece risulti ricca di una salda antropologia e di un vivere comunitario che viene invidiato da chi trascorre periodicamente una cordiale convivenza in terra giudicariese. Le amministrazioni pubbliche non risentono della dannosa corruzione che si evidenzia e che dilaga in tante altre parti del mondo, e le stesse possibili "lotte" socio-politiche non assumono, nell'ambito comprensoriale, quell'esasperazione di contrasto che caratterizza tante altri contesti sociali; le stesse divergenze fra le cosiddette maggioranze e minoranze si risolvono con sole e poche parole dette o scritte e mai con rotture drastiche e controproducenti che ricadano negativamente e con violenza sull'intera popolazione locale a danno di qualcuno, che ne rimanga vittima.

L'isolamento storico-geografico ed antropologico delle Geografiche, considerato nel passato quasi un impoverimento culturale e socio-economico, ma che ha salvato le Giudicarie da tante traversìe che hanno colpito altre zone e località meno fortunate, non risulta oggi, invece, un salvacondotto prezioso ed utile contro un avvenire che si prospetta carico di nembi minacciosi e carico di pericolose calamità? Ma i Giudicariesi ne sono consci di tanto beneficio nel trovarsi in un paradiso terrestre reso ancora più bello perché coltivato con cura, con dedizione ed amore da infinite generazioni di gente impegnata - attraverso l'osservanza meticolosa degli "Statuti/Regole" - a mantenerlo al meglio delle loro possibilità e dela loro dedizione? Rendersene conto e rimanerne convinti potrebbe essere la premessa di un avvenire sicuro e protetto.

Da sereno vecchio già prossimo alla immancabile "partenza", mi auguro che i Giudicariesi siano capaci di conservare il proprio territorio così come è, mantenendolo e rendendolo ancora più bello, impedendo che venga intaccato da chi continua a lasciarci soli e magari con la pretesa di voler imporre qualcosa che non ha nulla a che fare con la specifica identità e capacità di gestirsi in autonomia, come testimoniato dagli otto secoli, dal Mille al 1800? Questo impegno sta nella rivendicazione e nella difesa di un'autonomia legata alla storia secolare del medioevo, nella vita di vachèr de le malghe e de le cà da mónt, nell'esperienza e nelle fatiche degli emigranti, i molèti e gli altri, nei sacrifici de le esemplari dòne capaci di gestire le numerose famiglie nonostante l'indigenza del tempo. Di questo "quasi isolamento" in positivo mi auguro che i Giudicariesi se ne rendano conto e persuasi e convinti. Mi auguro proprio che i Giudicariesi sappiano gestire il ricchissimo patrimonio di tanta e tale eredità a favore di un avvenire, anche se si prospetta carico di nuvole nere e nerissime?
Mi sia concesso di concludere questo scritto "al vento", con il mio convinto saluto ben augurale:


Ensèma e arént

Èser tùč ensèma e capìrse...:
él par gnént e l'è tut...:
l'è fàr "gróp": én gróp strèt
che nigùgn él pòl desgropàr!

Enséma... sé sé fa compagnìa
ànca sénza parlàr
ànca sól per én minuto...

Ensèma sé sé sént sa 'l stès sentér
e se camìna tegnéndose per ma'...

"Ensèma" e "arént":
dóe paròle da seitàr a vìver
entà 'n gróp che nó sé deslìga mai!